Sergio Padovani: “La nostra vita? Un Pandemonio senza fine alla disperata ricerca di followers”
Di Emanuele Beluffi

“Pandemonio” è il titolo della mostra itinerante di Sergio Padovani (Modena, 1972), aperta fino al 9 marzo 2024 ai Musei di San Salvatore in Lauro a Roma. Organizzata dalla Fondazione THE BANK ETS – Istituto per gli Studi sulla Pittura Contemporanea e da Il Cigno GG Edizioni e curata da Cesare Biasini Selvaggi con Francesca Baboni e Stefano Taddei, “Pandemonio” comprende oltre 60 dipinti, quasi tutti inediti, di grandi dimensioni e di recente produzione, con una grande novità perché in questa occasione “alla composizione pittorica si è allineata, spontaneamente, una composizione musicale, le nuove tele abbracciavano una dimensione sonora ancora più marcata del solito, che ha fatto convergere il mio eterno binario musica/pittura in un unico contenitore”, come ci ha detto Sergio Padovani, che ha accettato di parlare con Artuu svelando dettagli e… segreti di questa mostra.

Pandemonio, una mostra da vedere ma anche da ascoltare, con video e musica da te creati: se non sbaglio è la prima volta che integri una tua mostra con un’installazione audio/video

Vero. Questo, in effetti, è accaduto perché alla composizione pittorica si è allineata, spontaneamente, una composizione musicale. Non c’è stata nessuna “premeditazione” , semplicemente le nuove tele abbracciavano una dimensione sonora ancora più marcata del solito, che ha fatto convergere il mio eterno binario musica/pittura in un unico contenitore. In questo caso: un video che potesse raccontare la mia pittura in modo diverso, più vicino ad un approfondimento da un altro punto di osservazione piuttosto che il solito video descrittivo della mostra. Non si tratta assolutamente di un’installazione, cosa lontana dai miei obiettivi, ma di un ulteriore elemento conoscitivo per il visitatore.

Ho letto che un ruolo in questo tuo nuovo progetto lo ha anche giocato l’Intelligenza Artificiale: è una prosecuzione del tuo “metodo” mentre dipingi? HAL 9000 coadiuva per la prima volta Sergio Padovani?

Magari! Risparmierei fatica ed eviterei notti insonni! L’Intelligenza Artificiale ha avuto il ruolo di catalizzatore delle immagini mentali che avevo elaborato per offrire una alternativa visiva a “Pandemonio”. Mi interessa molto il concetto che miriadi di informazioni online possano costruire, in un unico dato momento, un impalcatura immaginifica ed estetica del mio modo di lavorare attraverso dei riferimenti algoritmici, freddi, chirurgici, contrari quindi alla mia pittura. Ho dunque scritto una sceneggiatura molto accurata che ho “dato in pasto” all’Intelligenza Artificiale. Il risultato, successivamente elaborato e reso “raccontabile” da una mia composizione musicale, fornisce una nuova e particolare osservazione delle tematiche in esposizione. Credo che l’Intelligenza Artificiale debba, come tutti i mezzi con elevate potenzialità, essere utilizzata con scrupolosa coscienza di causa.

Sembra che in alcune opere di questa tua nuova serie pittorica siano presenti dettagli estremamente perturbanti, proprio alla Freud, cioè qualcosa di familiare che tuttavia ci spaventa: siamo davvero sull’orlo del baratro?

Il titolo della mostra non è assolutamente casuale. Il frastuono silenzioso, il rumore di voci con in tasca il diritto a pontificare, il caos calmo che viviamo senza sosta ed oramai profondamente inoculato nelle nostre teste posso definirlo solo come un vero pandemonio; dove tutti i demoni di Milton sono in realtà i demoni domestici che ci divorano le spalle lentamente, le croci che portiamo senza capire di averle, magari mentre siamo impegnati a cercare follower o siamo ben attenti ad eliminare connotazioni di genere quando scriviamo le mail. Non credo sia un baratro ma nemmeno che oggi siano migliorati i punti di riferimento rispetto a neanche troppi anni fa. In questo contesto difficile che, oggi come oggi, possa emergere un nuovo Buzzati o un nuovo Calvino. Od un nuovo Casorati, un nuovo Vespignani. Ma nemmeno un nuovo De André o un nuovo Battiato…

La donna nuda mi ha particolarmente colpito: immagino sia inutile chiedere la ragione di quei segni numerici…

Si, infatti, inutile… per il semplice motivo che nella mia pittura è costantemente presente la mia più interiore e totale immersione, anche intima, dove ogni elemento, spesso non pittorico ma numerico o lirico, ha per me un ruolo importantissimo. Per chi osserva magari è solo una percezione estetica, per me è una mappatura del momento in cui ho “composto” il quadro. Ma posso rivelare che ha, ragionevolmente, a che fare con la mia risposta precedente

Pandemonio” è una mostra itinerante: perché?

Perché si sono manifestate delle possibilità espositive quasi in simultanea e non avrebbe avuto senso realizzare diverse personali a brevissima distanza, perché è un corpus d’opere molto importante tra i numerosi inediti e qualche mia opera precedente, che permette la trasformazione e adattabilità alle diverse necessità espositive, perché la struttura visiva/musicale che accompagna tutto il progetto ha fortemente l’attitudine del “tour musicale” e quindi in piena sintonia col sottoscritto, perché   l’enorme lavoro che sta compiendo la Fondazione The Bank per l’arte figurativa in Italia merita di essere apprezzato ovunque.

Le repentite probabilmente richiama l’iconografia storica di quelle ex prostitute poi redente nella vita monacale: nella tua visione cosa le aspetta dopo esser state ree di un peccato e poi pentite?…

Sì hai ragione, Le repentite è dedicato alle “27 Maddalene” di Palermo (così erano chiamate). Voglio immaginare che, dopo le tante sofferenze della vita, abbiano trovato la loro armonia. Anche se parlo spesso di espiazione, di moto verso il sacro, di condizioni salvifiche, ho ben presente che il ruolo del peccatore combacia perfettamente con quello dell’uomo e, senza l’errore, manca la possibilità di sublimazione dello stesso. “Preferisco ridere con i peccatori che piangere con i santi”, cantava Billy Joel…

Per il mitologo Furio Jesi il mito di Europa nasce solare (il Mediterraneo), ma con una connotazione lunare, del resto è dal 1972 l’Europa va incontro a un’inesorabile erosione non solo demografica: il tuo quadro Europa è il nostro… “heimat”? (ammetto che questo è un escamotage alla Umberto Eco quando strizzava l’occhio al lettore smaliziato: chi sa sa, n.d.r.).

Bel coup de maître! Non è assolutamente una definizione errata, dato che, nel centro del quadro, la figura infantile che rappresenta il cuore di Europa è un personaggio in cerca del suo Heimat. Lontano dalla dimensione mitologica, che non mi aiuta nel districare i nodi del contemporaneo, vedo una terra soffocata nel suo “corpo” e nella sua “anima”, probabilmente dalle sue stesse creazioni in un processo di trasformazione inarrestabile che fa paura al suo stesso artefice , una creatura che potrebbe richiamare quella generata dal regista Tsukamoto in “Tetsuo” , la sua pellicola visionaria(e profetica) di fine anni Ottanta.
Nel mio quadro, “Europa” è il nome di questo personaggio, agglomerato ed in equilibrio che vive, rimane in piedi e ha nel suo cuore la speranza di ritrovare il suo ruolo.