LA NATURA DEL SACRO

 

 

 

Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris.

                                                                                                  Vulgata della Bibbia (Ggenesi 3,19)

 

Maria Maddalena

che lavi i fazzoletti

per darli ai poveretti

lavane uno, lavane due, lavane tre,

lavane uno anche per me.

Filastrocca popolare

 

 

 

 

Natura e sacro da sempre si affiancano, poiché legata ad ogni territorio è una religiosità basata non soltanto sulla liturgia ma anche sulla mera sopravvivenza dell’uomo. Lo scandire del tempo viene avvicinato a culti propri del Cristianesimo di cui sono un chiaro esempio i Santorali dove a ciascun santo viene attribuito un riferimento per una particolare protezione, per scongiurare calamità od ottenere fertilità dalla terra.[1] E’ stato proprio grazie al Cristianesimo che certe forme religiose pagane e prettamente terrene sono potute confluire nella sfera spirituale della sacralità, trovando nel Santorale una calendarizzazione delle attività legate alla stagionalità terrestre. Le festività legate ai cicli degli astri e alla manifestazioni metereologiche sono così divenute memorie o momenti liturgici. La chiesa a poco a poco ha sacralizzato il quotidiano diventando elemento unificante per gli abitanti di differenti territori, con la presenza di un culto dei santi locali e patroni che assorbiva credenze e tradizioni di una cultura profondamente popolare.[2] Inserito nell’anno liturgico era dunque anche il ciclo Santorale, le cui date fisse corrispondevano e corrispondono tuttora alle feste dei singoli santi che variano da luogo a luogo.[3] La partecipazione alla festa di un santo era sinonimo di rassicurazione dai mali e talvolta veicolo per richieste particolari e il partecipare diveniva quindi contatto diretto con il divino e lo straordinario, in attesa di un possibile miracolo o di una inaspettata grazia. Sergio Padovani ricrea il suo personale e singolare Santorale basato sul numero simbolico del 13 (come i 12 apostoli più uno il Cristo) per raccontare la sua visione di Sacro applicato al dato naturale. L’artista prende spunto dalle chiese e dalle opere del territorio montano reggiano per favorire un percorso che ha come punto di partenza una rilettura contemporanea delle pale d’altare e come punto di arrivo la riscoperta di architetture antiche alle quali sono dedicate. Nelle sue tele, in cui i colori si condensano nella pastosità dell’olio e del bitume, il punto di partenza è la natura, e tramite essa si accede poi alla dimensione spirituale e alla santità, esattamente come nelle tradizioni popolari, per poi tornare alla terra, alla chiusura del cerchio. Polvere sei e in polvere tornerai dice la Bibbia. I santi umanizzati di Sergio Padovani (non a caso nel titolo il nome è quello dell’uomo) si sacralizzano attraverso il rapporto tra sacro e ambiente circostante e appaiono come fantasmi all’interno di un contesto che li sublima e li eleva ma nel contempo li sovrasta. Sergio Padovani non segue pertanto pedissequamente la ricerca agiografica, ma si affida ad una pittura visionaria e onirica, mai uguale a se stessa, corposa ed edificante, in cui appaiono esseri mostruosi e paesaggi sulfurei e immaginifici.

Lux vitae o SS. Trinità rappresenta ciò che avviene in principio, ora e sempre. Dio Padre, Signore del tempo e del Cosmo, s’incontra col Figlio che vince la morte morendo e risorgendo sotto il beneplacito dello Spirito Santo, qui nella canonica forma della colomba. Sergio Padovani umanizza l’incontro trasformandolo in un simbolico “ritorno a casa” con un tenerissimo abbraccio familiare in un paesaggio spettrale in cui si intravvede di lontano la punta di una pietra, racchiuso all’interno di un mondo ricco di misteriose simbologie, incorniciato dagli aforismi in foglia oro di S. Agostino,  dove si muovono strani uccelli dal becco appuntito che lanciano uova ad una imbarcazione dove sta avvenendo il miracolo della creazione.

In Vismentua o Assunta il modello è quello delle grandi pale d’altare di Assunzioni. Mentre nelle opere antiche la Madonna è sempre in piano piano o di scorcio o si innalza sopra agli apostoli appoggiata sulle nuvole, nella tela dell’artista è la Pietra di Bismantova che si erge in tutta la sua magnificenza naturale, terribile e potente allo stesso tempo, fagocitando una temperatura da Sturm und drang tedesco, mentre appare dall’alto appena percettibile il chiarore della Vergine che si confonde con le nuvole. Il luogo dell’Assunzione, il punto più basso della valle di Giosafat non lontano dal Getsemani, è ora una montagna che nasconde un substrato sulfureo, quasi una selva dantesca animata da improvvisi bagliori, in cui appaiono le macchie dei dodici apostoli, con le vesti che omaggiano il cenacolo leonardiano. Infine La croce o il SS. Salvatore che rimarca lo scandalo della Passio nella faticosa salita di spalle dell’uomo-Cristo che esce dalle acque vestito di una tunica, per aggrapparsi sul lignum crucis che non è più veicolo di morte bensì di trionfo e redenzione. Con Il battesimo o Giovanni inizia la schiera dei santi cari alla religiosità popolare.

Non a caso Il Battista nasce nel solstizio d’estate (la notte di San Giovanni in cui si ricorda la famosa rugiada dalle proprietà miracolose) ed è legato al rito del Battesimo e alla mitologia delle acque. Sergio Padovani sceglie di rappresentare con una modalità pittorica grezza e vagamente disturbata il Giovanni barbaramente decollato dalla vanità della regina Erodiade e lo racconta su due differenti livelli visivi. In basso, con la visione della sua decollazione, in alto invece senza testa mentre zampilla oro. Il martirio non è occasione di lutto ma di divinizzazione, nel momento in cui si trasforma in pioggia dorata portando successivamente l’uomo santificato a immergersi nella natura arborea e a salire verso il chiarore. La memoria liturgica vede Pietro e Paolo uniti assieme nella giornata festiva, ad indicare come fossero le colonne su cui poggiava la nuova comunità religiosa. Ne Gli alberi o Pietro e Paolo anche l’artista li avvicina, mettendo l’uno, cieco, aggrappato all’albero della Vita, l’altro, pescatore di pesci e di anime, immerso nelle acque da cui parte una struttura ogivale che ricorda quella di una chiesa gotica, alludendo al suo essere il primo Papa insignito da Cristo. Sergio Padovani allude dunque senza rispettare l’iconografia classica né gli attributi canonici dei santi, inserendoli spesso brutalmente in un paesaggio articolato e ricco di dettagli come ne Il cavallo o Martino in cui il celebre episodio del mantello viene trasfigurato da una visionarietà che mostra il dorso del cavallo schematizzato e la figura del santo appena accennata tra colori vibranti che impreziosiscono la visione o ne Il cielo o Apollinare in cui la figura umana si fonde al fiume sovrastata da un’enorme nuvola antropomorfica. Così come il suo S. Lorenzo (La forza o Lorenzo) non è raffigurato sulla graticola del martirio come vuole la tradizione storico-artistica, ma inserito in un ambiente naturale che vede il fuoco alle sue spalle, come se fosse già trapassato dalla pena e osservasse come un fantasma l’accaduto, S. Andrea, seppure nella sua connotazione particolarmente sintetica, è riconoscibile dalla croce del martirio, e in Il fiore o Andrea viene distratto da un’arborescenza che parte dal legno per contaminare il suo corpo e farlo fiorire. Non mancano le presenze mostruose di reminiscenza medievale come ne La visione o Prospero dove il vescovo, vestito con abito sontuoso, viene osservato da una creatura proteiforme in un cortile che ricorda un’architettura religiosa e che ritorna anche ne La notte o Stefano sotto forma di enorme pesce meccanico mentre il santo penitente torna alla terra. Infine ne La nascita o Pancrazio l’artista gioca sulla decapitazione e sulla rinascita, corrodendo lo sfondo in cui appare una scala d’interno, come se volesse mettere in scena in un hortus conclusus la ricerca del dato naturale. Unica donna e figura da sempre ambigua è la Maddalena, simbolo della devozione del culto magdalenico appenninico diffusosi dai tempi antichi, che si rifaceva a misteriose leggende sulla presenza della fuggitiva dalla Palestina fino alle nostre montagne. Ne La rivelazione o Maddalena la santa non è rappresentata ai piedi della Croce bensì nel momento del suo travaglio mistico, davanti al rudere forse del suo eremo reggiano, colta dal dubbio del passaggio a nuova vita.

 

 

 

FRANCESCA BABONI

 

 

 

 

 

[1]    Anastasia Zanoncelli, Piccolo atlante dei santi di campagna protettori patroni, Edizioni del Baldo, Verona, 2010,  p. 6.

[2]    Franco Cardini, I giorni del sacro – i riti e le feste dall’antichità ad oggi, UTET, Novara, 2016, p. 82.

[3]    Ibidem, p. 139.