Luce, ombra e oscurità: tra questi spazi di esperienza si muove la pittura di Sergio Padovani.

Appena un secolo fa il passaggio dalla luce al buio era per tutti scontato. Nell’epoca della illuminazione elettrica, i limiti del buio più nero, l’andare a tentoni nella penombra sono esperienze di civiltà lontane. Per l’uomo moderno il confine ancestrale tra notte e giorno non è più un avvenimento quotidiano. La pittura di Padovani ricerca il processo in base al quale le condizioni quotidiane si sviluppano in modo graduale nella ineluttabile oscurità che niente può rischiarare e viceversa.

Il forte effetto emozionale dei suoi quadri ricorda la vita di ciascuno di noi in tutte le sue manifestazioni, quando la vita ci è estranea e impenetrabile e il nostro mondo interiore si trova al buio. Padovani irrompe in questo buio, lo illumina dall’interno e ci fa incontrare il suo significato metafisico. La sua illuminazione indagatrice dell’animo umano ci conduce in territori solitamente non illuminati e oscuri abissi. Nelle sue figure si rispecchiano i profondi abissi del subconscio, l’universo di ombre dei sogni e lui disseziona la parte oscura sempre presente dello stato di veglia. Nella sua pittura vengono illuminati il mistero della notte interiore, la notte e l’universo di ombre dell’animo umano. In questo processo creativo si mostra il mito della creazione stessa. Dove domina il buio deve esistere la luce e in questa luce Padovani ci mostra il dramma dell’esperienza e raffigura la realtà umana.

L’alternanza ciclica del giorno e della notte, della veglia e del sonno, del bene e del male Padovani la ricerca come condizione e trasformazione dei sentimenti umani. Padovani sa che queste condizioni sono sfuggenti e sa anche che la nostra vita sottostà ad un disegno incomprensibile e noi umani sperimentiamo senso e significato in situazioni di trasgressione e di marginalità. Le sue figure rappresentano la consapevolezza dell’artista del fatto che nella nostra vita sono nascoste molte possibilità e modalità del vivere; ognuno però più o meno casualmente si assoggetta ad una forma di vita ed obbedisce ad essa, mentre altre forme non vissute emergono costantemente nei nostri pensieri e sensazioni e attraverso di noi vogliono giungere alla realtà. Come pensiero filosofico questa realtà si radica nell’utopia, nel rovesciamento della cacciata dal Paradiso terrestre.

Chi per una volta ha avuto la rara fortuna di poter vedere l’artista durante il suo lavoro, diventa testimone di come si realizza la costante dialettica di immersione ed emersione sulla tela. Dal grembo della cecità proviene un impulso,l’idea originaria di un’opera d’arte. Ancor prima che l’artista giunga ad una piena coscienza , emergono stati di chiaro e di scuro. E solo dopo attraverso la riflessione ed anche attraverso tecniche artistiche le sue opere pervengono ad una forma visibile.

Nondimeno il processo interiore del passaggio dalla cecità alla vista si compie nell’artista Padovani e tutto ciò precede la sua bravura tecnica. Durante lo svolgimento del lavoro egli muove la tela, continua a dipingere finché non emerge dal suo occhio interiore una figura. Questo è il punto in cui inizia la rappresentazione emozionale della figura. ( Adesso tutto è possibile).

Il cieco è diventato vedente ed emerge dalle tenebre della cieca morte. Ciò rende grande ed emozionante il suo lavoro. Fatto è che egli non esclude il tema della morte, bensì mostra e raffigura la sua presenza immanente.

Un quadro come “Costante amputazione dei sensi” mostra esattamente questo processo : due figure – una appesa,l’altra direi quasi nel momento in cui cade. La raffigurazione figurativa dell’amputazione delle membra, le lesioni di un occhio rendono visibile come l’essere umano proceda dalla luminosità della giovinezza verso la perdita della salute e dell’integrità fisica. Si rende evidente ai nostri occhi quel senso di impotenza , che conduce a qualcosa di doloroso e sofferto che non si può mutare. Il trauma del dolore che infine porta alla morte si evidenzia nei volti. Essi rispecchiano la coscienza del disfacimento del corpo e così quest’opera è una cronaca dell’estinzione, una ricerca di allegorie ed al tempo stesso rappresentazione di una esperienza universale di vita e di morte, una esperienza che vale ed è inevitabile per tutte le creature, senza eccezione.

Tutte le opere di Padovani mostrano questa realtà, che lo spirito umano sperimenta nella condizione di prigionia corporea e nella sua fisicità tutte le esperienze di dolore e di gioia. S. Padovani rappresenta questo fatto universale con massima concentrazione. Niente nella sua opera scivola mai verso elementi decorativi. Non c’è mai la volontà di una pittura ad effetto. Il suo mondo figurativo si riferisce essenzialmente al mondo di esperienza dell’esistenza umana ed a ciò che questa esistenza contiene. Il dualismo del nostro vissuto, nella creazione, il concetto della mascolinità e della femminilità, il mondo animale,l’ambito della natura ,dell’architettura,della poesia, il pensiero filosofico, la dimensione della musica, tutto ciò Padovani lo raffigura nella sua propria personale maniera. Esperienze individuali e collettive sono evidenti nel suo universo figurativo che fa pensare alla lunga a civiltà del passato o del futuro.

Noi vediamo la figura umana nello spazio di realtà del collettivo ed al tempo stesso nel suo isolamento dallo stesso. E questa è la capacità dell’artista, e cioè di rendere visibile il fenomeno per cui la coscienza è sempre individuale e ciò avviene nel campo di battaglia del proprio corpo

Nel vedere i corpi di Padovani si compie il fenomeno in base al quale l’osservatore viene messo a confronto con la domanda se lui vuol vedere ciò che vede, e cioè se vuol comprendere ciò che vede: colui che con occhio vedente non vede, rimane cieco. (La psicanalisi definisce questo processo “rimozione” ).Quando dunque l’artista rende visibili gli stati di malinconia straziante e di grande solitudine inespressa, si assume su di sé il compito di rendere visibile ciò che ad ogni essere umano viene posto come compito, e cioè di diventare appunto essere umano solo attraverso il lavoro su se stessi, secondo le parole del Faust di Goethe: “Ciò che tu hai ereditato dai tuoi avi, sudatelo per poterlo possedere”.

Peter Maria Herk