FRANCESCA GANZERLA.
5 poesie ispirate da
5 dipinti di Sergio Padovani
In comunicazione.

 

 

Su “La notte è fatta per sanguinare”

 

Ascoltando l’ impalpabile,

Il lenire

un tormento

 

può

farsi

 

sublime

tragedia.

 

 

 

 

 

Su “Attraverso le pareti sentiamo la città lamentarsi”

 

Attraverso le pareti sentiamo la città lamentarsi.

 

Il cuore si tuffa oltre l’ennesimo schianto.

Io resisto.

Volo con tenuità d’ali in picchiata.

 

Io appena nato e già moribondo.

 

Attraverso le pareti sento lo strangolamento quotidiano

dell’ infatuazione all’abitudine.

M’attraversano orizzonti pressofusi.

 

Domani il rantolo delle gru

erigerà un altro pulcino di cemento.

 

Chiudo gli occhi perché l’ira li possa dissaldare.

 

Attraverso le palpebre sento la città lamentarsi.

 

 

Su “sei aurora e dirupo”

ALLA DONNA

 

Vorrei lavarmi con le tue braccia

E  ridere con il tuo sorriso che dischiude un’edera dubbiosa

So che sai più di me

E so che il gas delle nubi mi parla dell’etere a cui ritorneremo.

 

Non ho voglia di non essere più corpo.

 

Vorrei abitare sui tuoi capelli mai domi.

E guardare con i tuoi occhi di muschio declinare il sole delle estati africane.

Vorrei respirare nei tuoi pori che parlano delle epoche attraversate dal tuo angelo meridiano.

 

Vorrei sempre risiedere in te.

 

E in te reinfetarmi uomo.

 

 

Impermanenza (su “Ridiamo ancora delle dimenticanze vespertine”)

 

Dopo di me ciò che m’anticipa

Prolungo volentieri le mie assolute voglie.

 

Dopo di me l’espressione d’un vuoto.

Prima solo le mie terga pingui.

 

Dopo di me il volo d’una farfalla in confusione.

Prima solo l’ebbrezza della menomazione.

 

Ho memoria solo d’adesso.

La mia mente momentanea s’allunga sulle pause di riscrittura.

 

 

 

DOMANI E’ DESERTO/OGGI E’ RIDUZIONE DI POSSIBILITA’ (su Noi siamo la nave fantasma  e voi siete i lupi)

 

 

DOMANI è deserto

La questione, rapida, mi sfugge.

La rincorsa si compie già in affanno.

Protraggo oltre la linea dell’ovvio la mia ombra.

E ombra è decrepitezza che m’orna.

E ovvia è tensione che mi frustra.

Qualcosa come residuo riflettente m’induce a pensarmi al contrario.

 

Solo il contrario mi rappresenta.

Il mio contrario nell’incavo d’una solitudine in disarmo.

La tua quiescenza d’occhi mi riduce ai minimi termini.

Tenebre in deliquio definiscono le mie tante assenze premonitrici.

Domani è deserto.

 

Oggi è riduzione di possibilità.