Le opere di Sergio Padovani: il destino ineluttabile degli sguardi.

 

 

 

Guardare le opere di Sergio Padovani significa vivere l’esperienza di viaggio che dagli occhi conduce all’inconscio, la tela è la porta spalancata su mondi sospesi dove gli sguardi più si cercano, più paiono perdersi nell’ignoto.

Sguardi che si fanno visioni di galassie vicine ma irraggiungibili e in continua mutazione, chi assiste è irresistibilmente attratto nella loro orbita, disarmato dalla sua fissità, (forse) costretto a restarne fuori.

La scena si anima, o meglio, a chi guarda pare che lo sia da sempre, che abbia una vita propria, come se nel fermarsi si cogliessero solo pochi istanti di un infinito.

Lì si consumano e si rigenerano scene tridimensionali di corpi che ad occhi aperti ostentano nudità coprendo la scena con impudicizia, sono forme di donne, di uomini e di animali colte in contorsioni indicibili ed esibizionistiche, tra spazi che tendono all’ascesi o che spingono nell’abisso, mentre dal non visibile (ma assolutamente presente), fili appesi sostengono e legano precariamente i corpi.

Più che voli, le loro sono sospensioni artefatte di catene e di meccanismi ancestrali che conservano gelosamente il loro mistero, nei profili dei ventri prominenti o dei seni, sterili opulenze esistenziali, oppure nelle materie trasformanti in simbiosi con se stesse.

Manifesti di impietose solitudini e deformità apparenti che ambiziosamente ma vanamente ri-cercano di unire lo spirito alla terra in un’unica sostanza, un’unica figura.

L’effetto cromatico testimonia il disperato e perdurante tentativo di cercare la vita, di farla pulsare, una tenue colorazione contamina il bianco e il nero prevalente, mentre le frequenti sfumature si diramano dai corpi quasi a prolungare una sensazione di perdizione che per chi guarda è impossibile da fermare: deve lasciarla andare al suo destino.

 

 

 

Alighiero Guglielmi