CON IL FAVORE DELLA NOTTE
ISPIRANDOMI AI QUADRI DI SERGIO
di MASSIMO BERNARDI
Con Sergio ho condiviso le prime fasi del suo percorso artistico, quando esponevamo -lui quadri e disegni, io fotografie- negli spazi del Paradisino, una ex chiesa del centro storico di Modena. Le sue opere mi hanno sempre colpito per la potenza evocativa, quel riuscire a scavare nel profondo, nell’inconscio, risvegliando i fantasmi che ci portiamo dentro. Ed è così che ho voluto provare a gettare un ponte tra le sue visioni e la mia scrittura notturna, quella che a me piace chiamare scrittura onirica. Questi racconti partono da una singola immagine di Sergio per arrivare da qualche altra parte. Più che storie sono sogni, suggestioni, reminescenze. Un fluire di immagini che appartengono al buio della notte, alla faccia nascosta della luna. E in questa specie di simbiosi tra pittura e parole ha un ruolo anche la musica, non solo sottofondo ma vero e proprio combustibile per il mio procedere narrativo. Alla fine di ogni racconto ho citato il brano musicale che ho ascoltato e riascoltato, in loop, mentre lo scrivevo.
novembre 2012 – gennaio 2013
HO CHIAMATO LA NOSTRA CASA “GIOVINEZZA”
Sono l’uomo che affonda la donna che ritaglia il suo desiderio d’ombra, vivo di parvenze come lumi incandescenti aperti alla notte ma non mi presto al gioco eterno degli sguardi, vivo solo di riflesso negli occhi di chi mi guarda di chi mi scruta di chi mi adora nelle pieghe del tempo immobile che ci contorce e ci gira nel suo ciclone avvolgente di minuti intermittenti. Amo questo stormire alle finestre perché mi ricorda vaghe ombre corsare che nutrivano i miei cavalli negativi prima delle partenze, quando le corse si squagliavano sotto le nuvole di celluloide e io mi giravo i capelli nel fuso come le matrigne inascoltate, abbastanza vergini da diluire i miei sogni atomici e farne tanti pezzi tante fratture per il mio calderone dove le castagne bollono a fuoco lento mentre il fuoco si prende i rami del bosco e li avvolge nelle spire della notte nei convogli ferroviari che dilatano ere geroglifiche di cui abbiamo perso la stele. Ora mi vedi nuda e mi vedi spirale ma sono stata anche un sale una saggezza di coriandoli e il mio rifugio era una bandiera per le rotte di chi aveva smarrito il futuro. Lo sai che le ore girano impazzite e io qui divento crisalide forzata e tra non molto ogni orizzonte sarà cieco nei suoi lati peggiori, ogni angolo sarà un vissuto che ritorna a specchiarci e nessun frammento sarà esatto come un puzzle impazzito come una notte dai contorni dissolti che non sa più dove procede il suo frattale. Verso quale notte, fratelli, avrete orientato la lanterna? Verso quale paradiso di seta, quale diga di ritorno? Io ora non ho più occhi, non ho ritagli in cui deformarmi. Mi dissolvo tranquilla, come una spirale che ha deciso il suo punto di fuga. Non mi trattiene più nulla.
(The drowning man, The Cure)
LA GRANDE MADRE
Noi siamo nati ieri sotto le tre grandi querce che infettano i vostri sorrisi. Abbiamo raggiunto a nuoto le spiagge della saggezza dove approdano tutti i tentativi per poi scoprirci ciechi e senza passaporto per trapassare nel nulla. Siamo madri e figlie e spose con i colori dei nostri uomini al fronte cuciti addosso, scolpiti sulle palpebre. La speranza di vederli tornare è un ramo secco che cresce storto e senz’acqua, che dilata le pozzanghere delle nostre lacrime fredde. Ci costruiamo ogni giorno un nido dove rifugiarci con le scorte per l’inverno, e celebriamo battesimi di conchiglia per dare un senso lato al trapezio delle incertezze. Viviamo appesi ai margini del bosco, sospesi tra le terza e la quarta corda di Bach, insensibili alla nebbia. Prima o poi una civetta cieca verrà a spulciare il deserto per dirci dove e quando. Sorvolerà i finestrini dove abbiamo steso gli occhi ad asciugare, e nel vento vedremo esattamente dove finisce la parabola delle ombre.
FECONDE ARDONO LE VIOLAZIONI
La mamma me lo aveva detto di non seguire l’uomo nero quando mi chiamava di là nel bosco perchè potevo pentirmene. Ho soltanto seguito le lucine candite che portavano alla torta e solo all’ultimo, quand’ero in cima all’albero delle leccornie, mi sono accorto che avevo i piedi ghiacciati. I piedi ghiacciati e il cuore stanco, come una folla di cento corvi spaventati che mi trapassano l’anima mentre sto cercando le mie dita perdute nelle acqua torbide dello stagno in cancrena. Vorrei tornare a quell’eco silvano che mi chiamava a perdifiato e io lo seguivo sicuro di me, schivando i cespugli e le canne al vento, fino alla piana dei cavalli bradi. Ora quel luogo è scomparso in un rogo minore, tra i fuochi fatui delle streghe scampate al giudizio dei vescovi. A me non resta che attendere dentro il bosco con i miei piedi congelati e il freddo che mi risale nelle ossa, con le ombre della sera che disegnano strane forme grottesche sui tronchi degli alberi. Ho freddo, sono stanco, so che la mamma non arriverà in tempo.
(Passione secondo san Matteo, Bach)
LA CAMERA DELL’ESTASI
Le campane a festa non ci rendono giustizia. Hanno smesso di portarci l’acqua e il cibo. Le nostre carni affettano desideri incompiuti. Non manca molto al nostro orizzonte degli eventi. Non abbiamo colpe, se non quella di essere stati lenti. Non abbastanza rapidi da sfuggire ai giri tortuosi delle nostre viscere ardenti mentre i leoni, sfuggiti da pagine di geografia, ci torturavano i pensieri. Ieri eravamo giostre a riposo in una danza cosmetica, tra piantagioni di tè sfuso e montagne a motore mosse in cerchio da qualche mano consumista. Oggi siamo l’ombra che si allunga e avanza a stento tra le briciole di una tavola apparecchiata dove non saremo mai commensali. Brindate allora alle nostre vene, tutte quante, senza distinzione di sessi o di arti anteriori. Brindate, e siate umani abbastanza anche senza di noi. Sopravviveremo alle nostre ali spezzate, alle rotondità interne, alla lentezza. Con la stessa maledetta voglia di sempre.
(The seer, Swans)
IL MIO AMORE HA UNA BOCCA CHE URLA
COME UN INTERO SERRAGLIO
Settembre mi ha ridotto a brandelli, sono nudo e cieco sul lettino del dentista analista visagista che mi scruta mi dilata il cervello mi spia dentro lo sguardo vitreo degli occhi che hanno visto che hanno pianto e piantato carne in scatola, sento lo sguardo incallito di mille topi accesi nella notte delle lanterne che evadono dai giardini vanno verso lo spazio incuranti delle colline dei corsari di me pescatore che affrescavo un lago dorato dentro vecchie cartoline ritagliate e il treno per arrivarci è impazzito è sbandato deragliato nel buio di una caverna senza nome. Presto arriveranno diligenze con la licenza di uccidere e io sarò topo sarò bandiera strappata carne in scatola, sarò collina senza sentieri treno senza direzione grotta senza nome. Avvertite gli ubriachi miei amici giù al porto che stasera ritardo che forse non passo che ho altro da fare comunque. Li ho amati troppo per distaccarmi da loro con un semplice abbraccio. Li ho amati troppo, e adesso entro nel tunnel da solo e loro a guardare la partita in bianco e nero non mi sentono nemmeno non mi possono sentire, la mia bocca che grida come un intero serraglio ma il recinto è chiuso, è in disuso, la casa è sfitta da un pezzo e anche i fantasmi non lasciano più impronte.
(Forest of evil (Dawn), Demdike Stare)
NOI SIAMO LA NAVE FANTASMA E VOI SIETE I LUPI
Partiti nel freddo, lasciando a metà la nostra multipla partita a scacchi. Scesi giù con le piene di fine ottobre fino al villaggio salato che fa da quinta ai nostri sogni peggiori. Ancora vivi dopo quarantasei giorni di torture. Assetati. Assemblati alla meno peggio in quel laboratorio notturno dove l’artefice ci crea e ci disfa a suo piacimento, come la colla trasudata nelle mani di uno sculture dai molti occhi. Brividi. Il sole ancora dall’altra parte del mondo e molte ore alla luce. Siamo la disfatta incompleta scesa in guerra per sbaglio, la luce in fondo alla trama di vetro dove si conservano in damigiane strettissime le essenze arboree e i profumi argentati che salveranno il mondo. Niente odori, niente sapori. Viviamo di riflesso in questa eterna penombra che non si decide a diventare palco per un atto unico da tranciare in più parti. Siamo come carogne assetate che per un attimo brillano di incenso e poi, bruciando, elimininano ogni traccia di se. Siamo sali d’argento di dagherrotipi stipati nelle valigie dei sogni in crociera, diretti verso isole solo apparentemente terrestri. Ora siamo in balia del silenzio, apparizioni da due soldi. Presto verranno a spegnerci uno ad uno, come lampade sfuse in un arazzo orientale che ha perduto ogni parvenza di magia.
(Big eyed dog, Verdiana Raw)
LE TRANQUILLITÀ MANGIANO I CUORI
Ora che ti ho messo a letto posso concedermi un respiro. Il mare è calmo e non vedo all’orizzonte i mostri acquatici che mi hanno descritto nei libri i marinai. Le reti calate in acqua sono ferme, niente pesci, niente spicchi di luna vergine nemmeno allo specchio. Le mie mani hanno inchiostro che scorre lento, a disegnare frattali che si fanno e si disfano con l’andarivieni delle onde. Ti ho messo a letto e riposi al fresco, ignara del destino minore che ci hanno assegnato al nostro sportello. Ero io in fila per entrambi, lunghe ore vuote senza nuvole in cielo a distrarmi. Ero io a tenerti la testa quando hai deciso di reclinarla senza aggiungere altro. Siamo in balia di un porto franco che non ha spessore e non ci porta fuori dal gorgo come diceva il depliant. Ci hanno fregato, ombra dopo ombra. Non saremo mai più gli stessi. Alla prossima torre, quando la lancetta si sposterà più in alto sul quadrante, non avremo mani tese pronte a raccoglierci come frutti maturi. Saremo solo noi e il nostro volo, incompiuti. Come un compito a scuola lasciato sul tavolo mentre i bidelli calano le serrande e le ultime striscie di luce si spengono una dopo l’altra e il foglio bianco scivola nel grigio più assoluto. Buon viaggio, mia compagna stanca. Che tu possa inoltrarti meglio di me.
(Sacrifice, Lisa Gerrard)
SIA MALEDETTA LA BELLEZZA.
LUNGA VITA ALLA BELLEZZA.
Nella stanza dei giocattoli manca qualcosa come quando all’imbrunire udivo alla finestra l’odore dei cavalli in transito al galoppo sulle linee ferrate vomitavano il calore del tempo ci guardavano negli occhi bruciati vivi e la coda di un pensiero in cancrena si allargava nel lago del nostro io ribelle io informe io incapace di stendere un tappeto una sindone di sudore intorno al collo del mondo là fuori oh come vorrei spiccare un salto da quella finestra cieca con i chiodi arricciati come vorrei dal davanzale affacciarmi e vedere cose che voi umani ma soprattutto sopra ogni cosa salire la scala salire i gradini salire più in alto più in alto di tutto e allargare le braccia sentire le nuvole respirare i secondi come radici che assorbono linfa avvelenata tavole sparecchiate senza più bricole né intenti e tu scatola giapponese tu taglio esatto di luna tu porcellana imbevuta di aceto tu bambolina esatta in procinto di scoppiare tu verresti con me fino alla soglia in punta di piedi senza fare rumore lo so che avresti il coraggio riusciresti a passare sotto il filo spinato e col favore della notte lasciando impronte nel fango con la testa impagliata le vene arrangiate la fronte disfatta lo faresti: recidere il laccio la corda emostatica il filo invisibile l’ombelico allo specchio che lega la mia stanza a quel bubbone annerito che ingombra il soffitto e ci tiene prigionieri e allora sì saremmo liberi veramente io e te liberi di andarcene da qui danzare in quota sorvolare gli altipiani attraversare gli archi posticci accendere i fuochi bivaccare allo scoperto amarci al buio.
(Pornography, The Cure)
MASSIMO BERNARDI – BIOGRAFIA
Massimo Bernardi è nato a Modena, dove tuttora vive, nel 1970. È laureato in Biologia. Ha pubblicato due libri di narrativa: Letturista per caso (Zerounoundici edizioni, 2012) e Onjrica (Oppure edizioni, 2001). Ha scritto diversi racconti, alcuni dei quali usciti su riviste e antologie. L’ultimo in ordine di tempo è La casa triste all’interno dell’antologia 2012 Non solo Maya a cura di Gianluca Morozzi (Jar edizioni, 2011). Ha collaborato per alcuni anni con il circolo culturale Laboratorio di Poesia di Modena in qualità di redattore e autore di testi per la rivista di poesia Steve. È autore di alcune sceneggiature originali per cortometraggi e lungometraggi (tra queste Il regalo più bello, menzione speciale al Busto Arsizio Film Festival 2004). Utilizza tecniche miste (proiezioni multiple di diapositive, pittura su pellicola, collages) per elaborare immagini fotografiche. Ha esposto le sue fotografie in alcune mostre personali e collettive, tra cui il circuito off di Fotografia Europea 2011 a Reggio Emilia. Si interesso di arte, architettura e archeologia industriale.