“Ed ecco, della pittura a smalto, della poesia solida..”

L’ APOCALISSE TI DONA !
SERGIO PADOVANI E IL CIRCO DELLE DELIZIE
di Viviana Siviero

I Paradisi perduti sono sconosciuti, chi ci è stato non ha fatto ritorno o almeno non ne ha fatto parola. Su di essi non abbiamo certezze, ma solo concrete immaginazioni, nella maggioranza dei casi considerate fantasia, più raramente, profezie. Ci sono occhi che vedono luoghi altrimenti ignorati, abitati da ninfe, silfi, pigmei salamandre e altri esseri2, che si rivelano nella loro diversità come emanazioni magiche, comunque deroganti dalla norma. Coloro che possiedono il dono di vedere sono bambini; quelli che lo mantengono, imparando l’arte di mostrarlo, sono artisti: concretizzandolo nel suono, nella materia o appigliandosi ad altri mezzi espressivi, per creare, ogni volta, una piccola Apocalisse.

Cap.1: AL DI LA’ DELLO SPECCHIO,OLTRE LA PORTA ED ALTRI NESSUN DOVE
La pratica e la poetica

Al di là dello specchio, oltre la porta ed altri nessun dove, spesso si incontra l’Apocalisse.
Nella credenza comune, l’Apocalisse è un fatto che segue la storia e precede il nulla, per questo sta bene a molti: è oscura, quindi snellisce e va un po’ su tutto. L’Apocalisse dona soprattutto se la si interpreta nel modo giusto, come la morte nei tarocchi, che simboleggia la fine di un ciclo che prelude all’inizio di uno nuovo. Sergio Padovani mette in scena uno spettacolo piacevolmente orrorifico, attraverso la costruzione di corpi mostruosi, zeppi di ricuciture ermafrodite di pelli cadenti che si muovono al confine fra la riunione dei sessi e delle età, in uno spazio senza spazio dove le ore si susseguono ed esistono in quanto tali e non in relazione al loro essere ripetizione perpetua di ventiquattro. La sua pratica artistica indagata in punta di capace pennello solleva ad ogni nuova opera quella quinta di sipario che nasconde la realtà, scoprendo un popolo che la banalità miope del quotidiano ha reso insicuro, una corte dei folli riunita attorno alle proprie diversità deformi.
Sarebbe facile parlare di anime emarginate costrette a vivere in una sorta di “mondo di sotto”, una realtà parallela e rassicurante dove l’anomalia è diventata regola perché condivisa dai più. Sarebbe banale parlare di un loro desiderio – che comunque risulta palpabile fra le molteplici pennellate oscure – di accettazione da parte di coloro che si attengono radicalmente alla regola per forma ed essenza. E per semplice volere del destino. La tela, col suo riquadro ligneo, definisce uno spazio di confronto; la cornice si apre come una finestra d’inquadratura su una realtà più complessa che ci chiede di non fuggire con lo sguardo.
Nelle opere di Padovani c’è un Paese delle Meraviglie alternativo e molto più vero; l’artista, come un diligente Bianconiglio, ci mostra la direzione per raggiungere l’inevitabile castello della Regina di Cuori, che rappresenta il pericolo dell’esperienza e del confronto.

Cap. 2 PERCHE’ IO SONO UN ALTRO.SE IL RAME SI SVEGLIA TROMBA,EGLI NON NE HA NESSUNA COLPA.
I personaggi

Perché Io sono un altro. Se il rame si sveglia tromba, egli non ne ha nessuna colpa Questo mi pare evidente: assisto allo sbocciare del mio pensiero: lo guardo, l’ascolto: do un colpo d’archetto: la sinfonia si sommuove nel profondo, o salta fuori sulla scena.5
Padovani non sente i personaggi che evoca come suoi figli, piuttosto si sente loro: le sembianze che scaturiscono dal suo pennello sapiente sono il risultato complesso di un’idea generata dalla combinazione di azioni vissute e frustrazioni, momenti osservati fugacemente e registrati a livello inconscio e retinico, che vengono poi elaborati a partire da quello che è il punctum dell’opera.
Proprio questo particolare, che rende l’opera intellegibile e coincide col punto d’accesso all’universo parallelo è ciò che l’occhio deve ricercare nell’opera dell’artista: non è detto si tratti di un elemento prepotente, nemmeno di uno scontato dettaglio sfoggiato dal protagonista, piuttosto un dettaglio delicato, come una goccia, una veste, una linea o un o scrigno, che si dichiarano allo spettatore senza prepotenza e ne manovrano visione e giudizio in maniera sottile ed invisibile.
I personaggi scelti da Padovani come protagonisti della narrazione provano sensazioni che temono di nutrire e l’artista sembra rivolgersi a loro attraverso una miscellanea composita di sentimenti contrastanti che vanno dall’amore alla tristezza malinconica, dalla compassione alla felicità più sfrenata. L’artista non sceglie di dipingere un volto o un corpo del quale ha avuto esperienza, ma la concretizzazione carnale di un sentimento profondo e prepotente che lentamente emerge dall’ombra, attuandolo attraverso una gestualità pittorica che tende in primis a mantenere viva la stessa emozione provata dal creatore nel momento della scoperta. Se tutte queste affascinanti donne cannone, bambine disciolte, bambini ostrica, GGG (Grandi Giganti Gentili), Big Fishes, questo circo bitonale di meravigliosi freak potesse esprimersi attraverso il suono, non sentiremmo urla strazianti né pianti addolorati, ma timidi sussurri e mugolii discreti, che svolazzano in mezzo ad un silenzio candido come la neve. Un suono delicato che viene emesso nel momento in cui ogni essere trattiene il fiato e dentro, il proprio cuore, minaccia di scoppiare: gli occhi fissano un punto al di fuori del quadro, guardano lo spettatore implorandolo di capire e fermare la crescita di quel senso di inadeguatezza così crudele che nessuno merita di provare.

Cap. 3: “COSA VI TERRORIZZA DI PIÙ NELLA PUREZZA?”,CHIESI.”LA FRETTA”,RISPOSE GUGLIELMO .
Il tempo

Bianco, Nero, Grigio di Payne e Bitume sono i quattro cavalieri dell’Apocalisse di Sergio Padovani, il cui lavoro non si svolge a partire da studi a matita o da immagini fotografiche di partenza: l’idea prende vita direttamente nella mente dell’artista a partire da una serie di esperienze che vi si affastellano come se entrassero dal becco di un imbuto. Ad un certo punto l’anima si satura e da tutte quelle vicende che si modificano continuamente viene rigurgitato un nucleo di lavoro – il punctum appunto – particolare, attorno al quale poi, viene costruito il quadro. Da questo momento in poi, l’artista, semplicemente, mette in evidenza l’avvenimento, attraverso il posizionamento di masse ombrose che esaltano le parti da illuminare. L’artista non è lontano dal fare di un bravo tecnico delle luci impegnato a seguire un’importante opera teatrale: il nero che sgorga dal pennello funge da evidenziatore per le parti di luce che vanno a mostrare personaggi altrimenti invisibili, fino a quando non è il quadro stesso a dichiarare la propria conclusione, lasciando libero il suo creatore di inseguire un nuovo sentimento. Tutto ciò si svolge con la giusta fretta, che si palesa in un tempo sospeso ed ossessivo in cui le ore perdono completamente il loro valore sia per la creatura, sia per il suo creatore. Il principio fondamentale ruota attorno alla necessità di seguire un’energia inconscia ed imprevedibile che sembra stabilire una comunicazione diretta fra la testa ed il quadro.

Cap. 4: (AB)NORMAL LIFE
L’inquadratura

Il confine di definizione che separa una vita normale da una vita anormale può risiedere nell’elementare abbraccio di una parentesi, tanto nella vita letteraria come in quella delle forme. Così sono le regole definitorie dei i modelli, che vanno a costituire la morfologia di ciò che è accettabile e di ciò che è spaventoso. Sergio Padovani organizza le proprie pennellate variando la gamma dei colori dal nero all’oscuro, passando per il grigio con accenni di materia densa e lucente. La sua volontà non va nella direzione dell’imposizione del diverso, il suo è più che altro un gesto di integrazione estremo e netto: non accettando di tenere al riparo dal confronto i corpi multi-sessuati e deformi dei suoi personaggi, forzando le sue bambole traumatiche a danzare, su di una sorta di palcoscenico suo malgrado decadente inquadrato dal telaio del supporto, egli obbliga l’osservatore a guardare e il soggetto a mostrarsi, in modo che le due entità entrino in relazione reciproca, sostenendo un dialogo che altrimenti non si attuerebbe mai. Una masnada di forme squilibrate, desiderose di essere scoperte, emergono dall’oscurità col loro desiderio di emancipazione nei confronti di un destino che pare aver deciso per loro. Il loro movimento è impacciato ma inevitabile, i loro occhi somigliano a uova rese bianche dall’acqua bollente, occhi del desiderio che ti chiedono di essere mangiati per rendere totale l’empatia amorosa, per poter vedere il mondo attraverso un punto di vista diverso….

Cap. 5 : QUANDO LE ORE SI FANNO PICCOLE E LE OMBRE TRADISCONO L’OCCHIO
Lo spazio d’ambientazione

“Quando le ore si fanno piccole e le ombre tradiscono l’occhio può capitare di avvertir intorno a sé un mondo altro”8 Il paesaggio così come ci è famigliare svanisce e si trasforma, rendendosi irriconoscibile: è sufficiente non porre limitazioni paurose per sentirlo casa. In piena luce tutti coloro che abitano questo sottosuolo, ci parrebbero degli emarginati, ma si sa, l’apparenza inganna:Sergio Padovani e il suo sopraffino pennello fanno lo stupore di chi li “ascolta”. Il colore predominante potrebbe sembrare il nero ma non ci si deve lasciar ingannare dalla quantità: il vero protagonista dell’inquadratura è il bianco, manifesto attraverso l’assenza di colore ma inteso come luce, quindi somma di tutti i colori. La sua impalpabilità rende necessaria la messa in gioco del suo opposto, l’ombra, che fa da supporto al protagonista per permettere alla luce e a tutte le sue significanti di mostrare la propria forza. Lo stesso vale per l’assenza di ambientazione, obnubilata da uno sfondo che annienta qualunque particolare: la volontà dell’artista sembra essere quella di indicare la strada di lettura più che di dettagliarne la cromia. Molte sono le influenze: le ombre lunghe dell’espressionismo cinematografico tedesco, il calore del contrasto nel cinema muto degli anni ’20, musicato dall’orchestra in sala, l’estetica degli anni ’40, le esperienze vissute indirettamente attraverso i trattati di storia, la pittura fiamminga e il mondo oscuro di una certa narrazione intellettuale per l’infanzia che affascina in primo luogo coloro che sono chiamati a veicolarla ai più piccoli. Ma sopra a tutto la musica.

Cap. 6 : SOGNANDO VIDI NEL CIELO UNA VISIONE DI MISTERO
la tecnica

Ciò che Odilon Redon affermò come esperienza titolando un suo celebre lavoro sembra esser vero anche per Sergio Padovani, che ha cominciato la propria ricerca artistiche come compositore musicale, approdando alla pittura solo in un secondo momento. La pittura è uno strumento completo, come un pianoforte, che non necessita di alcun accompagnamento: pochi gesti offrono uno spettro immediato e compiuto. Sergio Padovani, sogno dopo sogno, ha ritagliato le proprie finestre inquiete su di un universo onirico che è necessariamente da preservare, puntando un faro su di un circo straordinario di cui è sciocco avere timore e che si palesa attraverso un procedimento di creazione che è più importante del risultato finale stesso. La titolazione dei lavori viene a completare con la sua spolverata di parole affascinanti, l’opera stessa, imponendo per la prima volta il punto di vista dell’artista sulla visione. È come per la musica, dove il “colore” è dato dalla melodia che è la materia pittorica, mentre il testo –completato da ritmo e toni – è come il titolo fatto di parole raccolte in frasi poetiche e spesso dissacranti, come fosse un nuovo personaggio.

Cap. 5: LA MENTE CHE CANCELLA
conclusioni

La mente possiede un meccanismo secondo cui i ricordi più dolorosi devono essere consegnati all’oblio Ecco quale rischia di essere la nostra Apocalisse: la cancellazione della conoscenza di personaggi straordinari ed altrettanto prodigiosamente orripilanti, che se dimenticati, come le Divinità, chiuderanno per sempre le porte di quell’aldilà che li conforta. David Lynch, anch’egli pittore, musicista e compositore, oltre che celebre regista noto per il proprio essere visionario onirico ed angoscioso di immagini fortemente collegate al sonoro, nel 1971 realizzò uno dei suoi primi capolavori: Eraserhead, la mente che cancella, in cui un giovane uomo tranquillo che abita con la fidanzata in una desolata periferia industriale, diventa padre di un bambino mutante. Lynch non ha mai voluto parlare del bambino ma la leggenda dice che per realizzarlo fu utilizzato un feto di mucca imbalsamato. Si racconta poi che Stanley Kubrick, fece proiettare in loop Eraserhead durante la lavorazione di “Shining”, per trasmettere inquietudine agli attori. A volte è solo una questione di forma o suggestione, ma è alla sostanza che si deve guardare. Così, Sergio Padovani e la sua pittura desiderano prenderci per mano, per accompagnarci in quel paese delle meraviglie sotterraneo dove nonostante le apparenze di oscurità, difficilmente saremo maltrattati. Accettiamo l’Apocalisse quando si presenta, apriamoci al cambiamento: non sappiamo cosa capiterà dopo ma magari quello che chiamiamo il nulla è solo la nostra paura, che va affrontata e vinta.

Citazioni:
H.Bosch+Paracelso:Il giardino delle delizie
L. Carrol:Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò
N. Gaiman:Coraline – Nessun dove
C.S.Lewis:Le cronache di Narnia
A.Rimbaud:Lettera del veggente
U.Eco:Il nome della rosa
D.Lynch:Eraserhead